La favola dell’ulivo contorto

– Mi raccomando, sta’ su con il tronco, altrimenti crescerai sbilenco, tutto storto come quel pazzo di tuo zio. – Va bene mamma, non ti preoccupare. Starò attento.

Il giovane ulivo raddrizzò il suo esile tronco. Diede una spinta a destra, dove un ramo più grosso degli altri lo costringeva a sbilanciarsi da quella parte, e ssò il sole.

Era bello il caldo del sole sulle foglie grigio argento. E poi c’era un debole vento di maestrale che faceva cambiare il colore ad ogni fogliolina, come un gioco sull’acqua. A quel tempo gli alberi parlavano tra loro, giorno e notte. Anche ora gli alberi parlano, ma solo di notte e quando c’è la luna piena. Lo fanno per evitare che gli uomini capiscano il linguaggio delle piante anche se una volta, tanto tempo fa, uomini e piante erano molto amici. Poi litigarono, ma questa è un’altra storia.

Dunque il giovane ulivo si raddrizzò, stese i suoi rami e fu contento di sé.

In quel momento udì una vocina

– Ci facciamo belli, eh…e poi non si può disubbidire alla mamma…

Il giovane ulivo arrossì, anche se gli ulivi non possono arrossire.

La vocina era quella di una siepe di gelsomino che copriva una parte del bianco muro della casa.

– Salve – disse l’ulivo con un tono di imbarazzo – Come stai?

– Io sto bene – rispose la siepe – ed ho sentito tutto. Dunque da oggi starai dritto come un palo secco. Proprio un gran bel vedere.

– Io non sono un palo secco – disse stizzito il giovane ulivo – sono un albero, un vero e proprio albero e poi faccio quello che voglio.

– Non è vero, non è vero – lo canzonò la siepe – Tu fai quello che vuole la mamma… e allora sai che ti dico? Che da questo momento non ti voglio più vedere.

– Ma perché? Che ti ho fatto?

– Niente – disse la siepe di gelsomino – Ecco, mi sei antipatico, con tutte quelle arie che ti dai!

– Ma io – implorò il giovane ulivo – non mi dò affatto delle arie. Sono così e basta.

– E sei fatto male, allora. E poi il discorso è meglio che lo niamo qui.

– Come vuoi – replicò l’ulivo.
La siepe di gelsomino tacque e indirizzò i suoi verdi

virgulti verso il muro ancora scoperto. Stese i rami, aprì i ori in croce ed un profumo intenso si diffuse per tutta la siepe.

– E ora che fai? – chiese il giovane ulivo.

– Sono affari miei. Non ti riguardano. Faccio quello che voglio… io!

– Ma non è giusto.

– So io quello che è giusto e quello che non lo è. Anzi, d’ora in poi credo che guarderò sempre da un’altra parte, da quella del giovane mandorlo. È così gentile ed educato. Sì, farò proprio così.

– Ti prego, non farlo, non farlo …

Il giovane ulivo cercò di girarsi verso la siepe, ma un dolore atroce glielo impedì. Tutto il tronco era rigido e non accettava altri movimenti. Eppure qualcosa doveva fare. Non poteva consentire che la siepe profumata guardasse solo il giovane mandorlo. Era ingiusto. E poi che ne sapeva il mandorlo del suo segreto amore per la deliziosa siepe di gelsomino?

Un amore che lo rendeva felice e infelice allo stesso tempo. Felice per tutte le volte in cui riusciva a guardare, non visto, il verde lucido delle foglioline della siepe, i ori

profumati e deliziosi con i petali delicati e il viluppo dei rami, come un ricamo straordinario e fragile. L’infelicità gli veniva quando la siepe lo sorprendeva in estatica ammirazione e lo canzonava. E per dispetto poi volgeva il suo interesse e le sue attenzioni verso il giovane mandorlo, per esempio, un bellimbusto buono a niente, con tutti quei ori sfacciati a primavera. Una vera e propria ostentazione. Un superbo, ecco cosa era, un superbo vanitoso, come diceva a ragione il vecchio e saggio carrubo.

Vuoi mettere l’eleganza e la dignità contenuta di un giovane ulivo? Ma non c’era nemmeno da fare il paragone. Con questi pensieri il giovane ulivo si guardò attorno. Ecco, tutti alti e dritti i suoi fratelli, il padre più in là era in tutto e per tutto simile ad una poderosa colonna. E solenne e dignitosa appariva sua madre. Che famiglia importate quella degli ulivi. Ma la siepe di gelsomino non la pensava allo stesso modo. Sì, d’accordo, d’inverno non lo abbandonavano, ma …. e poi quali attenzioni gli uomini non riservano agli ulivi. Certo un albero importante, ma anche il mandorlo faceva la sua gura. Soprattutto a primavera. Era veramente una festa per gli occhi con quei ori che spuntavano da una notte al’altra, improvvisi e bellissimi. Il

giovane mandorlo pareva una sola corolla. Peccato che la oritura durasse poco.

Era estate e il sole tramontò tardi. Il giovane ulivo aveva deciso: avrebbe tenuto d’occhio il bellimbusto, cioè il giovane mandorlo, e la siepe di gelsomino per evitare che questa civettasse con lui. Magari solo per fargli dispetto. Ma lui sarebbe stato vigile e attento.

Per farlo però occorreva girarsi del tutto nella direzione della siepe. Gli pareva una impresa impossibile, ma ce l’avrebbe fatta. Cominciò pian piano a tormentare le sue bre, la corteccia del tronco, i piccoli rami. Il dolore gli pareva insopportabile, ma non era accaduto niente. Disperato si disse che doveva tentare ancora. E ancora. A costo di morire. Ecco, meglio la morte della derisione della siepe, suo negato amore.

Provò ancora e accadde qualcosa. Il terminale di un ramo si era girato in direzione della siepe. Non era molto, ma tutto stava per incominciare. Provò con un altro ramo. Ancora dolori e spasmi lo tormentarono, ma anche questo tentativo riuscì. Dunque era possibile, a costo di soffrire. E poi era necessario che al primo sorgere del sole tutto tornasse a posto. Altrimenti chi avrebbe sopportato le sfuriate della

madre, il broncio del padre, le prese in giro dei fratelli? Per tutta la notte il giovane ulivo soffrì, si disperò, pianse persino, ma l’amore che portava alla siepe di

gelsomino era più forte di ogni cosa.
Il sole lo sorprese con i rami ed il tronco a posto, come

voleva la madre. Avrebbe ritentato la sera. Le ore del giorno gli parvero lunghissime. Venne alla ne il buio. Il giovane ulivo si trattenne un attimo: lo atterrivano i dolori atroci del suo mutare. Ma doveva tentare ancora. L’amore per la siepe di gelsomino era più forte di ogni altro sentimento e di ogni paura.

Si contorse, si avvitò su se stesso, si girò completamente.

In un furore che sembrava non dovesse mai avere ne, lottando contro le sofferenze che si opponevano alla sua volontà, in preda ad un desiderio quasi di autodistruzione il giovane ulivo riuscì ad allungarsi verso la siepe di gelsomino. Protese le sue esili chiome, i rami appena spuntati verso il ricamo verde della siepe, si straziò e vinto dal dolore perse i sensi.

Così, quasi senza coscienza, lo sorprese il chiarore dell’alba. Non c’era più il tempo per tornare come prima,

ma soprattutto non ne aveva la forza e la voglia.
Ormai era fatta. Non rimaneva che aspettare gli

eventi.
Lo scosse un grido angosciato e disperato. Era sua

madre.
– Figlio mio, glio adorato, che cosa hai fatto? Come

è stato possibile? Chi ti ha ridotto così? Forse un sortilegio della notte? Un incantesimo malvagio?

Il giovane ulivo si sentiva debolissimo, stremato da quanto era avvenuto. Voleva rispondere a sua madre, ma non riusciva a pronunciare nemmeno una parola. Con le ultime forze, quasi in sof o, riuscì a dire alla siepe di gelsomino

– Ti amo, ti amo per davvero.
E morì.
Da allora molti altri alberi di ulivo sono contorti,

aggrovigliati su loro stessi, con le giunture anchilosate e nodose come per una inaudita sofferenza interiore. Sono gli alberi d’ulivo innamorati. Se guardate bene nelle vicinanze di questi ulivi c’è sempre una siepe di gelsomino. Qualche volta i rami di gelsomino si intrecciano alle foglie di ulivo.

Ma questo si vede solo di notte.

ulivo2016