Vita e morte di Hunk il Capodoglio

Disegni di Michele Damiani
Schena editore – anno 1991
vincitore del Premio Nazionale di Letteratura per Ragazzi di Cento (Ferrara) e del Premio Nazionale di Letteratura per l’Infanzia di Bitritto;

INCIPIT

La pinna caudale si levò sul mare in un turbinio di marosi. Stette immobile sullo sfondo del cielo come una grande vela triangolare dai contorni nitidi, quasi infissa nelle profondità abissali, nel cuore stesso del mare.
Poi si abbatte sulla superficie imbiancata dal maestrale con un grande “splash” che si propagò con ampi echi.
Sorpreso nella sua altalena liquida tra un’onda e l’altra un gabbiano spiccò il volo, spaurito.
Sul mare, il ribollire della schiuma si confuse ben presto con le creste spumose delle onde e tutto tornò deserto come prima. Uno sparuto stormo di codini arrancava serrato, un uccello dietro l’altro, per vincere la resistenza del vento. Sfiorava le onde come un segmento vivo scartando le bianche creste che si annunciavano quasi di sorpresa. Con il collo proteso e l’occhio pronto, l’uccello di testa ritmava l’andatura dello stormo e seguiva senza incertezze l’itinerario misterioso che dalla terra al mare e dal mare alla terra da millenni congiungeva il ciclo dei loro spostamenti. Ad intervalli regolari il primo della fila passava in coda al riparo del vento ed un altro prendeva il suo posto, così la velocità non subiva rallentamenti e la rotta procedeva sicura di giorno e di notte.
In breve, il piccolo stormo scomparve, lontano sul mare. Nelle profondità degli abissi, Hunk, il capodoglio, si sentiva stanco. Avvertiva come una sensazione di disagio e di indolente pigrizia. E non sapeva darsene ragione.
Sulla distesa arruffata dal vento, riapparve la grande pinna. Emerse in tutta la sua maestosità in una cascata di rivoli e di spruzzi. Rimase sospesa nell’aria e tornò ad abbattersi sul mare con un tonfo che si perse all’orizzonte.
Con il muso sprofondato negli abissi, Hunk riprese il suo andare. L’acqua scivolava lungo i fianchi, sulla pelle raggrinzita, si insinuava tra le pieghe scavate dalla salsedine dei mari, defluiva verso la coda agile e possente. La grande mandibola era aperta e come uno sciabordio cupo, un gorgogliare profondo si creava alla congiunzione delle fauci spalancate e mostruose. Attorno al muso, prima dello sfiatatoio, larghe cicatrici ricordavano lotte con i calamari giganti.
Hunk, il capodoglio, era stanco.
Era qualcosa di più della stanchezza: un disinteresse profondo e inquieto per quello che avveniva attorno a lui, dentro di lui.
Anche i colpi di coda, le immersioni a capofitto negli abissi che una volta erano giochi spensierati, ora apparivano gesti stanchi e tediosi.
Come erano lontani i tempi del branco, tutti insieme, ad inseguirsi e ad immergersi nel grande oceano. E dove erano gli altri, i compagni di giochi, i capodogli anziani che spesso seguivano il branco a distanza, le femmine premurose con i loro piccoli?
Hunk continuava ad emergere ad intervalli regolari. Dallo sfiatatoio laterale gettava nel cielo, ogni volta, uno spruzzo altissimo d’acqua e di vapore. Era il segno della vita. Il cuore batteva regolarmente ed i polmoni ansimavano con sincronia perfetta fuori e dentro il mare. Ciò nonostante Hunk avvertiva un senso di pericolo di cui non sapeva spiegarsi l’origine.
Qualcosa non andava. Ma cosa?…